Ah, le 5.30 del mattino… che poesia recarsi all’università o al lavoro nella frescura che precede l’alba. Quale escalation di surreale onirismo impregna la vita del Pendolare nel succedersi delle settimane, dei mesi, delle stagioni, quando le ore di sonno s’involano. Il risveglio assume sempre le connotazioni traumatiche che risalgono alla nascita.
Se di lunedì il Pendolare scende ingobbito dal letto, il venerdì cola letteralmente dalle lenzuola sul pavimento, squagliato di sonno ed ira.
Dopo aver coagulato il suo composto cellulare in forma umana più o meno solida, Egli si veste, ingoia cose a caso (fra cui la dentiera di zia Gigia) e, finalmente, è pronto.
Ecco una delle memorie mattutine del Pagliaio:
“Sono cresciuta in un paesino di provincia, luogo celato da colline boscose e nebbie di avaloniana memoria: qui giace la Bucolica Stazione, costituita da un edificio con porte e finestre murate, privo di personale biologico. Sussistono invece: altoparlante con voce registrata, campanello di avviso avvicinamento o stazionamento treno, due obliteratrici di cui una ospizio stagionale di vespe, waiting room (nicchia in cemento su cui troneggia picassiano murales di membro maschile carico di promesse) e fatiscente costruzione, un tempo adibita a servizi igienici, oggi estemporanea serra per un lussureggiante campione di foresta amazzonica. All’epoca dell’università, raggiungevo a piedi la Bucolica Stazione: attraversavo parte del paese fino ad una zona che è ancora aperta campagna, dove s’incastonano i binari. Quel giorno, doveva essere un mercoledì e stavo morendo di sbadigli, il profumo della primavera era intenso ed io piuttosto di buonumore. Camminavo tranquilla, con la serenità del giovane discente pieno di speranze nel futuro.
Placida, osservavo la notte sbiadire. Ma fu quando doppiai l’ultima curva che lo vidi.
Mi aspettava.
Così, fuori dal cono di luce del lampione, dava le spalle alla collina e mi fissava.
Perché sapeva. Sapeva che sarei arrivata.
Avevo già notato nei giorni precedenti il suo atteggiamento aggressivo, ma lo avevo ignorato.
Lui, il Gallo Bastardo, un grosso esemplare piumato, variopinto e minaccioso, aspettava me.
I suoi diabolici occhietti polleschi dardeggiavano odio. Rallentai il passo, incerta sul da farsi: la strada era l’unica disponibile, non avrei potuto aggirarlo; fare finta di nulla? Procedere, superarlo e dargli le spalle? Attaccare per prima, sfruttare l’effetto sorpresa? Solo di una cosa ero certa: non dovevo guardarlo negli occhi (per via di quella storia dell’abisso di Nietzsche che se lo guardi ti vede e ce l’hai in quel posto… avete presente?) Forse però Nietzsche non aveva mai affrontato un gallo psicopatico alle 6 del mattino, mentre andava a prendere il treno. Mi mossi lentamente, attenta a non agganciare il suo sguardo fanatico (del pollo, non di Nietzsche), senza compiere movimenti bruschi e tenendomi sul ciglio opposto della strada. Lui era immobile. Mi seguiva con la testolina crestata, le piume del collo arruffate, ringhiando. Avrei dovuto accorgermi subito che quel “Cooooooooooohhhhqqqqqq” non prometteva niente di buono.
D’improvviso, dalla stazione l’altoparlante annunciò il mio treno in arrivo, e in quell’istante feci un movimento di troppo. Il Gallo Bastardo scattò, impattando con tutto il suo arrostesco, distruttivo potenziale contro le mie ginocchia. Io mi mossi con un millesimo di secondo in ritardo, lui rimase agganciato con un artiglio alle mie stringhe (è vero che i polli sono una forma evoluta dei Velociraptor?) e si infuriò, iniziando a beccarmi forsennato mentre me lo trascinavo fra i piedi in una zoppicante corsa per la salvezza. Quando riuscì a liberarsi, decise che non poteva lasciarmi andare così e mi caricò finché non fui, a sua discrezione, fuori dal suo territorio. A causa del casino scaturito dalla zuffa, diverse finestre s’illuminarono e, come in tutti i paesini, fu un assieparsi di curiosi ai vetri: spero che la rissa della sottoscritta con un gallo molto più grosso di me abbia migliorato la giornata di qualcuno.
A volte la natura è un maestro crudele.”
Il Gallo Bastardo