Pioveva a dirotto da giorni. Dalla finestra della mia camera, nel sottotetto, guardavo preoccupata il fiume gonfiarsi di fango, laggiù, sotto la passerella. Ero certa che lʼacqua avesse già invaso le cantine degli edifici nel campo sportivo, e che presto avrebbe allagato il piano terra della mia vecchia scuola. “Vecchia”… per modo di dire. Avevo appena iniziato il ginnasio: nellʼottobre del ʼ95 (mi pare), le cinque di quella domenica pomeriggio erano color grigio marcio. I miei genitori, al piano di sotto, chiacchieravano con la nonna, mentre mia sorella guardava i cartoni animati. Sentivo la pioggia martellare le tegole, fuori dalle finestre il mondo era un ordito a fitte righe verticali. Il libro, poderoso paperback comprato il giorno prima al mercatino dellʼusato, giaceva su un tavolino di legno rotondo che avevo sistemato accanto alla poltrona, in un angolo della mia tana-studio. Mi sedetti, allungai le gambe, presi il libro e accesi la lampada. Una bolla di luce giallastra divorò me, la carta, le parole.
I mostri. Che meraviglia.
Quelli nascosti nel buio, nellʼarmadio, sotto il letto.
Quelli che si nascondono ma non hanno niente da nascondere: loro hanno fame e ti mangiano. Punto.
E tu hai paura, perché non vuoi fare la fine del tacchino di Natale. Nel confine sottile fra conscio ed inconscio, fra sogno e realtà, i mostri vivono e il tuo terrore è trasparente, perfetto, lineare e assolutamente razionale. Perché razionale? Falla tu la parte del tacchino, se ti piace tanto.
Lʼaltra sera ho visto “It” al cinema e sono tornata a quella domenica pomeriggio di tanti anni fa, con il libro di Stephen King tra le mani e la micro-carica di adrenalina pronta a scoppiare al centro dello stomaco. La meraviglia dei mostri di allora, schifosi, cattivi, affamati, mi ha proiettata lontano nel tempo: quando la tua vita è ancora sulla soglia, guardare oltre è bellissimo e terrificante. Sia chiaro: detesto film e serial che inneggiano con nostalgia ad una gioventù edulcorata, mitizzata, allʼadolescenza che parla di se stessa con perifrasi da psicanalisi e si riempie la bocca di patetici sentimentalismi. A 13 anni non vedi te stesso come un tredicenne, non disquisisci dei tuoi ormoni, non ti frega un cazzo di parlare del futuro. Ti senti epico e minuscolo, gigantesco e terrorizzato, potente e insicuro, un genio e una caccola. Ma sei così e basta, non esamini la questione con i tuoi coetanei, non rifletti annuendo alle mosche con lo sguardo perso nel vuoto, come ad una conferenza di ottuagenari sullʼeziologia della colite.
Guardi i mostri di quando eri un ragazzino e scopri che ti mancano da morire, tutti quanti, perfino It.
Ora che sei cresciuto e i mostri sono cambiati, non si nascondono più. Non hanno denti aguzzi, né sguardi feroci: ti sorridono nello specchio e indossano la tua faccia, il tuo abito pesante di ricordi, la camicia di rimpianti a fiori, la cravatta nera della perdita e una giacca di ansia misto-lana.
(in pratica, sono vestiti di merda 😉 )
Non mi resta che augurarvi un buon Halloween…
P.S. So che questo post non è proprio come uno se lo aspetterebbe. La verità è che ho sempre nutrito una grandissima ammirazione per Stephen King, per la sua capacità di rimanere in contatto con il suo vissuto e di far risuonare le sue angosce con le tue. Il film rispetta questo mood e lʼho apprezzato molto, al punto di lanciarmi, come avrete notato, in una riflessione quasi seria.
E poi, a noi Pagliai, i mostri piacciono tanto.