Una densa riflessione del Pagliaio di alcuni anni fa.

“Il mio fidanzato mi ha portato delle foto incredibili da Tokyo: quale pendolare non rimarrebbe impressionato dai binari delle stazioni giapponesi?

Non una cartaccia, non una sigaretta, non uno stronzo aggrappato al ferro, e mi si perdoni il francesismo.

E qui mi tocca rivolgere un accorato appello al viaggiatore, perché le imprese di pulizie avranno anche i loro problemi nel mantenere il decoro dei nostri italici porti di terra, ma noi passeggeri sappiamo, a volte, essere davvero trogloditi. E se non siete d’accordo, spiegatemi perché sui binari della stazione di Tokyo ci si può apparecchiare mentre sui nostri sembra ci sia stato il conclave-rave della cicca! Perché nella stazione di Tokyo si celebrano addirittura i matrimoni? Perché se nel cesso del vagone c’è chiaramente scritto “non utilizzare nelle stazioni” qualcuno si sente in dovere di scodellare fra i marciapiedi una sachertorte formato famiglia? Perché nei pressi della stazione principale di una città italiana ho visto una piantina rigogliosa, alta quasi cinquanta centimetri, di Solanum lycopersicum, volgarmente noto come pomodoro? Perché stava al centro della strada ferrata? Immagino con romantico sospirare l’epica tregenda del passeggero che, nel lungo viaggio cenando con piadina caprese, sentì poi lo stimolo creatore, calando semi e concime proprio lì sui binari, come un dono alla madre terra. Ma mi chiedo pertanto: dove vanno a finire i frutti degli sforzi defecatori dei giapponesi? E poi, ecco una domanda che mi assilla fin da fanciulla, domanda che rivolgo a chiunque sia competente, in ascolto, e per la quale ammetto la mia più completa ignoranza: ma perché cavolo dobbiamo cagare sui binari invece di istituire un apposito vagone-feci dove spedire il tutto? Lo agganciamo in coda e lo sigilliamo per benino… nel caso, diamo fuoco.

Altro che centrali a biogas.

Avremmo i treni a propulsione meteorica!!!”

Un indovinello molto difficile

Quel popò di pomodoro

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